Diciassette anni fa, di anni ne avevo diciassette e in questo stesso periodo passavo le mie notti insonni a scrivere email innamorate a un ragazzo che diceva di amarmi. L’Europa intera ci separava, ma a noi non importava. Eravamo innamorati e lo saremmo stati per sempre – o almeno, così ci mentivamo.
Ricordo in particolare una notte di fine agosto. Faceva ancora molto caldo, tanto da lasciare la finestra spalancata e la tapparella un po’ sollevata. Ero sola a casa con mia nonna, che dormiva al piano di sotto. Dopo ore passate a rigirarmi inutilmente nel letto, tentando invano di prendere sonno, mi alzai e presi il cellulare per scrivere un messaggio al mio amato. Era l’epoca del roaming internazionale e degli sms da centosessanta caratteri, per chi non sa cosa siano apriremo una parentesi in seguito.
Gli scrissi, e lui rispose subito.
Risposi immediatamente anche io. Lui mi telefonò.
La conversazione fu breve e a mezza voce: lui viveva solo, ma io non potevo certo rischiare di svegliare mia nonna. Fu una telefonata costosa, ma di tutto quel che ci bisbigliammo ricordo solo due cose: “anche tu non riesci a dormire?” e “ti amo”.
Dopo, tornai a letto e dormii benissimo tutta la notte.
Diciassette anni fa, bastava poco per curarmi l’insonnia.